Grande attesa al Teatro degli Illuminati di Città di Castello, martedì 27 aprile, alle 21, (unica data in Umbria) per lo spettacolo di chiusura della Stagione di prosa, La macchina del capo di e con Marco Paolini
È un lavoro sull’infanzia e sulla primissima adolescenza, tra la famiglia, la colonia e le avventure nel campetto di pallone.
È un viaggio che parte dalla casa, micro-universo dal quale osservare il mondo, per avanzare alla scoperta del macro-mondo (del mare, dei compagni di giochi, del sesso visto con gli occhi di un bambino).
È il ritratto di un’Italia di periferia, vista su scala ridotta, tra la Pedemontana e il mare.
È un lavoro sul desiderio e sulla scoperta, vicino alle atmosfere di Monicelli. I ragazzi protagonisti del racconto sono quasi gli “Amici miei”, ma ragazzini. E le zingarate sono forse più innocenti, ma lo spettacolo si permette di giocarci con altrettanta ironia.
“Per questo spettacolo – dice Paolini- ho preso le storie più vecchie che ho raccontato, le ho prese dai primi Album, quelli su cui ho imparato questo mestiere che viene dal teatro. In quei lavori ho imparato a dosare i personaggi e a mescolarli con il filo della storia, a interpretare e narrare insieme. Ho ricombinato le storie vecchie con episodi nuovi che ho cominciato a scrivere un paio d’anni fa.
Si tratta di un viaggio in Italia, dalla montagna alla pianura fino alla scoperta di Roma. Un viaggio al confine di un mondo: Nicola si chiede cosa farà da grande, sogna, fa progetti, indeciso se fare il ferroviere come il suo papà o il parcheggiatore di autoscontri. E poi affronta i piccoli traumi della crescita come il rapporto con la scuola. Racconto di un’ infanzia non protetta da cordoni sanitari di adulti, di campetti di periferia, di viaggi in treno e di vacanze avventurose. Narro di un bambino di 10 anni e della sua fretta di crescere.
Non racconto per nostalgia, ma per divertimento, racconto per chi c’era già e riconosce i dettagli ma anche per chi è nato dopo e si diverte alla storia. Negli Album mostro lo stupore della scoperta del mondo, che poi si evolve nel racconto del disincanto, ma non c‘è nessun sentimento nostalgico e nessun messaggio generazionale. Nicola alla fine andrà a sbattere contro la realtà di questo Paese ma in questo racconto quello che cerco di fare è recuperare lo sguardo del bambino.
Questo racconto è pensato per tutti, a diversi livelli di fruizione. Nel percorso di crescita di questo bambino, tra banchi di scuola, campetti di calcio e ferrovie, si possono riconoscere sia i miei coetanei che quelli più grandi di me, ma si riconoscono anche i bambini di oggi. Io non ho figli ma ho aggiunto nuove parti rubando molto ai racconti dei miei nipotini di 7 e 9 anni. Uso l’ironia per immedesimarmi nello sguardo di un bambino, ma lo faccio senza caricature. Cerco di far immaginare le cose e sul palcoscenico non indosso i pantaloncini corti, ma divento un bambino di 10 anni raccontando qualcosa che è vitale anche per me oggi.
E Lorenzo Monguzzi (dei Mercanti di Liquore) mi accompagna in questo esercizio; con lui abbiamo creato canzoni senza tempo, ispirate alle filastrocche di Rodari o alle melodie composte da Carpi per il Pinocchio di Comencini.
La macchina del capo è una macchina speciale, rosa, quella di un capo per l’appunto, protagonista di una delle nuove storie che ho scritto per questo spettacolo, ma è anche il titolo della filastrocca, che tutti, anche i miei nipotini, conoscono e che per tutti si colloca in un preciso momento della crescita, che qui racconto.”